Diritto di visita negato al genitore? Lo Stato Italiano deve pagare.
(Avv. Roberto Pasquali)
In Italia, si sa, debbono trascorrere tempi biblici per veder riconosciuto giudizialmente un diritto e poi, una volta ottenuta una sentenza che attribuisce quel diritto, è tutt’altro che agevole ottenerne l’effettivo espletamento.
Non è così infrequente, ad esempio, che un padre separato, nonostante abbia il suo diritto di visita dei figli, formalmente e minuziosamente sancito dal tribunale, si trovi poi effettivamente a non poter incontrare i figli medesimi e a dover così presentare nuovi ricorsi ad altri tribunali, istanze a nuovi giudici e a buon bisogno querele penali, senza riuscire ugualmente a cavare un ragno dal buco.
Non basta la semplice enunciazione del principio e neppure è sufficiente una regolamentazione specifica dei giorni di visita: il diritto alla vita familiare va assicurato nella sua pienezza in sede esecutiva.
In molti casi, purtroppo, non è così e il genitore non affidatario si sente solo, abbandonato dallo Stato, in completa balìa degli eventi. Vede crescere i figli lontano da sé, magari con estranei.
L’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, afferma che “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare” e che l’autorità pubblica può ingerirsi nella vita dei cittadini qualora tale ingerenza costituisca una misura necessaria per la protezione dei diritti e delle libertà individuali.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, il 29 gennaio scorso, ha accolto il ricorso di un padre ed ora lo Stato Italiano dovrà pagare 15.000 euro per danni morali e 10.000 euro per rimborso spese per non aver azionato, attraverso i suoi organi giurisdizionali, le opportune misure volte a rendere effettivo il diritto del ricorrente di vedere la figlia.
L’odissea giudiziaria di quest’uomo era cominciata nel 2003. La sua ex compagna, madre della bambina (all’epoca di due anni) aveva chiesto l’affidamento esclusivo della minore, con diritto per il padre di vedere la figlia due pomeriggi la settimana e due week end al mese, e alcuni giorni in occasione del Natale, della Pasqua e delle ferie estive.
Condizioni che vengono considerate “normali” (anche se non lo sono) in quanto vengono usualmente adottate dai tribunali italiani in casi del genere.
La donna si era poi trasferita in un'altra città impedendo al padre di vedere la figlia secondo quanto stabilito. Il diritto di visita del padre si era in pratica ridotto ad una sola volta nell’arco di alcuni mesi, per pochi minuti, e alla presenza della madre e di un suo zio. Un Giudice tutelare, vista l’ostilità della donna nei confronti dell’ex compagno, aveva stabilito che gli incontri padre-figlia dovevano avvenire mediante l’ausilio dei Servizi sociali e comunque alla presenza della madre della bambina. Ma la madre non aveva rispettato nemmeno tali provvedimenti, non essendosi presentata varie volte con la figlia agli incontri protetti. I vari ricorsi e denunce del padre non avevano sortito l’effetto sperato.
Su tali basi la Corte europea ha affermato che i tribunali italiani, tra il 2003 e il 2011, non hanno adottato le necessarie misure per assicurare il diritto del padre a vedere la figlia, limitandosi a delegare la gestione degli incontri ai Servizi sociali, provocando conseguenze irrimediabili sulla relazione tra la minore e il padre.
Per la Corte la procedura “standard” seguita dai tribunali, con applicazione di misure "automatiche e stereotipate" , senza un effettivo intervento risolutivo, hanno di fatto permesso la rottura del legame tra padre e figlia, garantendo in sostanza soltanto la posizione ostruzionistica della madre e violando così l’art. 8 della Convenzione.
Allora mi chiedo, possibile che noi italiani abbiamo bisogno di un organismo esterno al nostro ordinamento che ci dica che lo Stato deve mettere a disposizione del cittadino tutti i mezzi giudiziari che consentano l’attuazione dei propri diritti ed il rispetto dei provvedimenti giudiziari che riguardano tali diritti, anche prevedendo misure specifiche che si rendano opportune nel caso concreto?
E’ possibile che non si comprenda ancora che in assenza di elementi che provino la inidoneità genitoriale di un padre, il fatto che la madre “conceda” allo stesso il diritto di visita a piccole dosi costituisce violazione dei diritti del bambino ad intrattenere con entrambi i genitori rapporti qualitativamente e quantitativamente ispirati al principio di bigenitorialità?
Se c’è un vuoto legislativo, perché non colmarlo? Se l’Italia è la patria del diritto, perché per veder riconosciuti i nostri diritti dobbiamo uscire dalla nostra patria?