IL FILTRO IN APPELLO
(Avv. Roberto Pasquali)
In Italia, con il metodo dei “filtri”, si sta comprimendo sempre di più il diritto costituzionale del cittadino alla difesa. Da qualche tempo il cittadino italiano non è più nelle condizioni di far valere le proprie ragioni se in un giudizio civile il giudice di primo grado ha sbagliato. Dapprima una legge del 2009 ha introdotto il “filtro” in Cassazione, mentre nel 2012 il cosiddetto Decreto Sviluppo ha introdotto il “filtro” in appello. In pratica ora la Cassazione e le Corti d’appello possono dichiarare inammissibili le impugnazioni senza entrare nel merito della controversia! Spending review nel settore giustizia! Tanto per capire, leggendo le prime interpretazioni giurisprudenziali, gli avvocati devono formulare l’atto di appello, a pena di inammissibilità, così come la sentenza che vogliono ottenere dal giudice dell’impugnazione, in modo che questi, scegliendo tra le tesi difensive proposte quella più convincente, possa, con un “copia-incolla”, trovarsi già la sentenza pronta! E per superare il vaglio di ammissibilità l’avvocato deve indicare espressamente le parti del provvedimento che vuole impugnare (non solo i capi della decisione ma anche tutti i singoli segmenti o “sottocapi” che la compongono), deve suggerire minuziosamente le modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto, ed indicare chiaramente il rapporto di causa ad effetto fra la violazione di legge che è denunziata e l’esito della lite! Se non lo fa (o se il giudice ritiene che non lo abbia fatto), in quattro e quattr’otto l’impugnazione è dichiarata inammissibile! Già molte decisioni delle Corti vanno spedite in questo senso, con notevole sfoltimento di fascicoli dai tavoli dei giudici e con buona pace per i diritti del cittadino! Questo naturalmente in barba all’art. 24 della Costituzione che recita: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Entriamo nello specifico:
L’art. 342 (Forma dell’appello) dispone: “L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall'articolo 163. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall'articolo 163-bis” .
Il nuovo appello deve contenere pena l’inammissibiltà:
1)l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dai giudice di primo grado.
Quindi innanzi tutto una chiara specificazione dell’oggetto dell’appello e, quindi, lo specifico chiarimento se si intenda chiedere la riforma totale o parziale della sentenza impugnata.
Poi l’indicazione specifica delle modifiche alla ricostruzione fattuale operata dal giudice di primo grado ed indicare quale sarebbe stata la corretta valutazione del fatto.
In pratica bisogna suggerire al giudice d’appello la corretta valutazione del fatto in modo che se il giudice si trovi d’accordo faccia sue queste considerazioni.
2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Indicazione della circostanza o delle circostanze da cui derivi la violazione della legge e la specifica indicazione della rilevanza, di detto errore.
In pratica si chiede di indicare l’errore che effetti ha generato e le conseguenze che ne sono derivate all’appellante. Quindi sia le censure sulla ricostruzione fattuale che quelle volte a sindacare “la violazione della legge”.
L’Art. 348-bis (Inammissibilita’ dell’appello). – “Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilita’ o l’improcedibilita’ dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Il primo comma non si applica quando: a) l’appello e’ proposto relativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma; b) l’appello e’ proposto a norma dell’articolo 702-quater”.
Art. 348-ter (Pronuncia sull’inammissibilita’ dell’appello). – “All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o piu’ atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91. L’ordinanza di inammissibilita’ e’ pronunciata solo quando sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. Quando e’ pronunciata l’inammissibilita’, contro il provvedimento di primo grado puo’ essere proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilita’. Si applica l’articolo 327, in quanto compatibile. Quando l’inammissibilita’ e’ fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente puo’ essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’articolo 360. La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all’articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.;
Due recenti sentenze sull’argomento:
C. App. Roma 15.02.2013,
(omissis)…………………………….
La nuova disposizione, a parere di questa Corte territoriale, impone precisi oneri di forma dell’appello in quanto non si è limitata a codificare i più rigorosi orientamenti del S.C .(Cass., 24 novembre 2005, n. 24834n. 110; 28 luglio 2004, n. 14251, Cass., 24 novembre 2005, n. 24834n. 110; 28 luglio 2004, n. 14251,) in punto di specificità dei motivi di appello, imposti dal vecchio testo dell’art. 434 cpc .
Nella nuova disposizione, infatti, non v’è più traccia dei motivi specifici, ma si
prevede che l’appello, da proporsi come prima dell’intervento riformatore con ricorso contenente le indicazioni prescritte dall’art. 414, deve essere, a pena di inammissibilità,motivato.
Il che significa, a giudizio di questa Corte territoriale, che esso deve essere redatto in modo più organico e strutturato rispetto al passato, quasi come una sentenza: occorre infatti indicare esattamente al giudice quali parti del provvedimento impugnato si intendono sottoporre a riesame e per tali parti quali modifiche si richiedono rispetto a quanto formato oggetto della ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice.
Con la conseguenza che non solo non basterà riferirsi alle sole statuizioni del
dispositivo, dovendo tenersi conto anche delle parti di motivazione che non si
condividono e su cui si sono basate le decisioni del primo giudice, ma occorrerà anche, per le singole statuizioni e per le singole parti di motivazione oggetto di doglianza, articolare le modifiche che il giudice di appello deve apportare, con attenta e precisa ricostruzione di tutte le conclusioni, anche di quelle formulate in via subordinate.
In conclusione a giudizio di questa Corte territoriale l’appello per superare il vaglio di ammissibilità di cui all’art. 434 c.p.c. deve indicare espressamente le parti del provvedimento che vuole impugnare (profilo volitivo); per parti vanno intesi non solo i capi della decisione ma anche tutti i singoli segmenti (o se si vuole, “sottocapi”) che la compongono quando assumano un rilievo autonomo (o di causalità) rispetto alla decisione; deve suggerire le modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto (profilo argomentativi ); il rapporto di causa ad effetto fra la violazione di legge che è denunziata e l’esito della lite (profilo di causalità).
È, infatti, assai più probabile che il giudice di appello riesca a pervenire in tempi ragionevoli alla definizione del processo quanto più i motivi si conformeranno in misura convincente allo stilema dell’art. 434 c.p.c.
L’appello in esame, per essere stato depositato il 24.9.2012 soggiace alla disciplina di cui all’art. 434 c.p.c. nel testo vigente a fra data dall’11.9.2012 .
Esso è costruito in maniera difforme rispetto alla previsione contenuta nell’art. 434 c.p.c. in quanto l’appellante, pur avendo indicato le singole statuizioni che non condivide, ha omesso di indicare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza.
L’ indicazione delle singole modifiche proposte era necessaria avuto riguardo alla esaustività e completezza della decisione impugnata, che si è confrontata in maniera analitica con le singole voci o capi di domanda, con i dettagliati conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio e con le singole contestazioni formulate dalla parte convenuta.
Dalla analiticità e specificità delle singole statuizioni della sentenza impugnata, correlate ai conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio conseguiva per l’appellante un dovere di conformazione alle previsioni della nuova disposizione rigoroso e puntuale; in particolare l’assolvimento dei precetti contenuti nell’art. 434 c.p.c. avrebbe dovuto estrinsecarsi nella produzione di prospetti contabili alternativi rispetto a quelli allegati al ricorso di primo grado e posti a base della decisione impugnata; avrebbe dovuto estrinsecarsi in una proposta di modifica della statuizione che ha escluso alle cd pause caffè rilievo e significanza ai sensi dell’art. 5 del CCNL applicato al rapporto dedotto in giudizio; avrebbe dovuto individuare il testo di una
nuova pronuncia volta a modificare le argomentazioni del giudice di prime cure in ordine alla inesistenza della prassi aziendale dedotta dalla società, quanto al regime di fruizione dei permessi ex art. 5 CCNL citato.
L’art. 434 c.p.c. nuovo testo conferma il principio affermato dal S.C. per cui il difetto che assiste l’impugnazione, impedendo l’esame nel merito del gravame, va trattato con la dichiarazione di inammissibilità e non di nullità; con la conseguenza che la condotta processuale dell’appellato non servirà in alcun modo a “recuperare” l’appello in quanto il vizio impedisce direttamente al giudice di comprendere per quale motivo la sentenza dovrebbe essere riformata e in quali precisi termini debba essere motivata.
C. App. Salerno, 1.02.2013
(omissis)…………………………….
- che, venendo alla nuova formulazione dell’art. 434 c.p.c., come si evince anche dalle relazioni che hanno accompagnato la novella, introdotta con D.L.
recante “misure urgenti per la crescita del Paese”, la finalità della stessa è quella di migliorare, ispirandosi in particolare al modello tedesco, l‘efficienza delle impugnazioni a fronte della violazione pressoché sistematica dei tempi di ragionevole durata del processo, con conseguenti indennizzi disciplinati dalla legge n. 89 del 2001, con incidenza diretta sulla finanza pubblica e con
configurazione, come osservato da importanti organizzazioni nazionali e internazionali, di un formidabile disincentivo allo sviluppo degli investimenti nel nostro Paese;
- che il chiaro il riferimento al § 520 della ZPO tedesca identifica tale norma come un importante parametro comparativo, oltre che ineludibile elemento di
valutazione in una interpretazione necessariamente tendente all’armonizzazione dei sistemi legislativi comunitari (cfr., sul tema dell’armonizzazione, anche Cass., Sez. Lav., Sentenza n. 15973 del 18/07/2007);
- che la suddetta norma obbliga l’appellante ad indicare in primo luogo le parti della sentenza delle quali chiede la riforma, nonché le modifiche richieste, sicché è stato osservato che il lavoro assegnato al giudice dell’appello appare
alquanto simile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio” delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento, con conseguente innesto – che appare quasi automatico, giusta l’impostazione dell’atto di appello – delle parti modificate, con operazione di correzione quasi chirurgica del testo della
sentenza di primo grado;
- che la stessa enumerazione progressiva degli elementi contenutistici della
motivazione dell’appello sembra suggerire un ordine preciso degli stessi (in
forte analogia ancora una volta con la struttura del § 520 ZPO, nonché con l’ordinata enumerazione dei punti contenutistici della sentenza ex art. 132 c.p.c.), senza nemmeno potersi escludere una lettura “in negativo” della norma che porti a ritenere che il contenuto motivazionale indicato debba essere il solo consentito oltre che il solo richiesto, con preclusione quindi di considerazioni che non siano chiaramente e strettamente rapportate a parti della decisione impugnata;
- che appaiono evidenti la facilitazione e lo sveltimento del lavoro del giudice che ne possono derivare, potendo il decidente individuare con immediatezza e senza studi defatiganti sia le richieste tendenti ad un effetto demolitorio di precise parti della motivazione della decisione impugnata, sia le richieste, sorrette da specifica ed adeguata motivazione critica, tendenti con stretta corrispondenza anche espositiva ad un effetto sostitutivo e, come si è appunto detto, altrettanto “chirurgicamente” preciso di tali parti con le parti indicate dall’appellante, il che si armonizza anche con le funzionalità di editing redazionale consentite sul piano informatico dal processo civile telematico (non a caso altra innovazione che allo stato riceve forte impulso sempre nell’ottica di un recupero dei tempi di giustizia);
- che la finalità di agevolazione e sveltimento dell’attività decisoria del giudice
di appello vieppiù si coglie ponendo mente alla contestualità della novella dell’art. 434 c.p.c con l’introduzione dell’art. 436-bis c.p.c. e delle norme da esso richiamate (artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.), relative al c.d. “filtro” di ammissibilità dell’appello (a sua volta mutuato dal § 522 della ZPO) a seconda della sussistenza o meno di una ragionevole probabilità di accoglimento del gravame, giacchè è evidente che in tanto tale ultima valutazione potrà essere agevolmente e sollecitamente condotta in quanto chiara, pertinente e precisa appaia la traccia decisoria proposta dall’appellante;
……(omissi)
- che depone infine fortemente nel senso dell’interpretazione in questione anche il principio, affermato in motivazione da Cass. n. 13825/2008, secondo il quale la regola della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2,
Cost. costituisce un parametro per valutare la compatibilità con il dettato costituzionale delle singole norme processuali o, quanto meno, per patrocinarne una interpretazione costituzionalmente orientata, essendo di tutta evidenza che l’economia di tempi processuali perseguita dalla novella (in questo affatto insignificante bensì di notevole e strategica rilevanza per invertire la tendenza all’accumulo di arretrato a carico delle Corti di Appello) può essere ottenuta solo esigendo il rispetto da parte dell’appellante, in un’ottica di leale collaborazione ed a pena di inammissibilità del gravame, dei predetti oneri formali, e non consentendo più che il giudice, se non in limiti ragionevoli (da valutare più elasticamente in sede di prima applicazione della novella), sia costretto a disperdere tempo prezioso ed energie, a discapito di altre risposte di giustizia attese, nella ricerca di elementi che la parte ben può e deve fornire in maniera ordinata e puntuale.
Conforta fortemente l’orientamento del Collegio la circostanza che le prime decisioni confermano una siffatta lettura della novella in esame. In particolare, giova richiamare il recente pronunciamento della Corte di Appello di Roma (C. App. Roma, S.L., 15.1.2013, n. 7491/2012 R.G., Pres. est. A. Torrice).
…….(omissis)
Concludendo, l’atto di appello deve essere formulato, a pena di inammissibilità, così come la sentenza che si pretende di ottenere dal giudice dell’impugnazione.
Le Corti d’Appello stanno affrontando la novella con una linea piuttosto rigorosa . Viene offerta una lettura della nuova disciplina sulla forma dell’appello che comporta l’obbligo di redazione dell’impugnazione secondo uno schema che ricalca il provvedimento decisorio, con l’indicazione delle parti della sentenza che si intendono impugnare, ma anche con l’articolazione delle modifiche che si richiedono in fatto, in relazione alla ricostruzione compiuta dal giudice di primo grado, nonché con l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Da queste premesse deriverebbe l’inammissibilità dell’impugnazione ogni volta in cui non solo siano indicate le statuizioni non condivise, ma siano anche omesse le modifiche analiticamente proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza.
Se l’appellante non riesce a fornire i requisiti che le nuove norme richiedono si fanno prevalere le esigenze derivanti dalla ragionevole durata del processo.