L’art. 88 del codice di procedura civile afferma che “Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità”.
L’art. 96 dello stesso codice afferma che “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare , o trascritta domanda giudiziale , o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata , su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente .
In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata “
Se viene provata la malafede o la colpa grave nell’agire o nel resistere in un giudizio, oltre alla soccombenza e alla condanna alla rifusione delle spese di lite, si va incontro all’ulteriore condanna per responsabilità aggravata.
Questo ove ricorra l’esistenza dell’elemento soggettivo, cioè della consapevolezza o dell’ignoranza colpevole dell’infondatezza della propria tesi difensiva, e di quello oggettivo, cioè del danno subito a causa della condotta temeraria della parte soccombente.
Si vuole in tal modo scongiurare abusi nei processi cercando di valorizzare la buona fede delle parti e la professionalità dell'avvocato difensore.
E’ compito e dovere del buon avvocato, infatti, impedire al proprio assistito di intraprendere azioni temerarie o di resistere in giudizio a fini meramente dilatori ed in modo totalmente destituito di fondamento; il professionista dovrà contemperare gli interessi dell’assistito con quelli del sistema giudiziario, tenendo sempre presente che quest’ultimo interesse, in quanto interesse dell’intera collettività, è da considerarsi sicuramente preminente (così Cass., ordinanza n. 15209/2018).
Il difensore dovrà spiegare in modo chiaro e completo se il cliente ha ragione o meno e quali possono essere i possibili esiti nel caso in cui voglia fare causa. Dovrà in altre parole impedire al cliente di fare una causa “tanto per farla”.
In caso di insistenza dell’assistito, l’avvocato accorto, si farà sottoscrivere una liberatoria, cioè, un documento in cui il cliente afferma di essere stato informato dell’infondatezza della causa e delle conseguenze a cui potrebbe andare incontro, liberando il difensore che lo assiste da ogni responsabilità.
Anche e soprattutto perché avvocato e cliente sono responsabili in solido per il risarcimento del danno provocato all’altra parte con la lite temeraria.
Si ritiene che la condanna per responsabilità aggravata non sia applicabile nei processi senza parte soccombente, come quelli costitutivi o di mero accertamento, e in quelli in cui il convenuto sia rimasto contumace.
Non è inoltre ammissibile il concorso tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 2043 c.c. (responsabilità da fatto illecito) trattandosi di istituti differenti.
Ai fini della competenza, l’accertamento della responsabilità processuale aggravata rientra tra i compiti del giudice del merito. La domanda di risarcimento danni per lite temeraria va dunque proposta nel medesimo giudizio nel quale i danni stessi si sono verificati, e il giudice dovrà effettuare una precisa liquidazione del danno, e non soltanto una condanna generica di risarcimento.
Chiaramente per la quantificazione del risarcimento il giudice dovrà valutare, ad esempio, la gravita dell'abuso, il nesso di causalità tra il giudizio e il danno alla parte, la durata del processo, l'intensità dell'elemento soggettivo ecc. (così Cass. n. 20995/2011).
Ciò che è certo che la condanna per chi ha agito o resistito con dolo o colpa grave, oltre al pagamento delle spese processuali nei confronti dell’avversario, consiste nel rimborso alla controparte del contributo unificato, delle spese di notifica, delle spese per il consulente tecnico d’ufficio e così via, oltre appunto alla sanzione per la lite temeraria.
Per concludere, bisogna notare che la giurisprudenza ha precisato al riguardo quanto segue:
-ricorre responsabilità aggravata tutte le volte in cui la parte omette di osservare la minima diligenza nella preliminare verifica dei necessari presupposti per la proposizione della domanda giudiziale in modo da avvedersi dell'infondatezza della propria pretesa e/o della propria linea difensiva. (così Cass., ord. 3003/2014 e 21570/2012);
-l'accertamento della temerarietà della lite implica un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato, si osserva che, ai fini della sussistenza dei relativi presupposti, non è sufficiente la mera opinabilità della pretesa azionata, ma occorre la coscienza dell'infondatezza della domanda e delle tesi sostenute, ovvero la mancata adozione della normale diligenza per l'acquisizione della predetta consapevolezza" (così Cass. n. 3464/2017);
-risponde di lite temeraria chi, dopo aver ricevuto un invito a stipulare una convenzione per la negoziazione assistita, non dia riscontro nei termini previsti o rifiuti di aderire all'invito;
-è ammessa l’applicabilità dell’art 96 c.p.c. in sede di legittimità, qualora dal ricorso in cassazione emerga chiaramente la non spettanza della domanda o emerga l’imprudenza, l’imperizia o la negligenza della parte (la domanda di danni in questo caso è proponibile per la prima volta in Cassazione quando si tratta di danni collegabili esclusivamente alla fase del giudizio di legittimità);
-in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l'accertamento dei requisiti costituiti dall'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo - per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell'11.9.2012 - il controllo di sufficienza della motivazione" (così Cass. n. 19298/2016; Cass. n. 29234/2017);