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Home Articoli e commenti (penale) Reati contro il patrimonio Quando l’inadempimento diventa truffa contrattuale


Quando l’inadempimento diventa truffa contrattuale

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Quando l’inadempimento diventa truffa contrattuale

 

(Avv. Roberto Pasquali)

 

Capita spesso a noi avvocati di assistere persone che sono vittime di un inadempimento contrattuale e che talvolta ci esortano a “denunciare” ai Carabinieri le controparti: l’artigiano che ha incassato l’acconto e non ha eseguito i lavori pattuiti  o il  venditore  che  ha consegnato loro una casa con vizi all’impianto idraulico  e così via. 

In molti casi non si considera però che  una cosa è l’“illecito civile”, l’inadempimento” di un’obbligazione, e un’altra è l’“illecito penale”, il reato: ed infatti se non c’è reato la “denuncia”  non porta a niente e appesantisce inutilmente il carico di lavoro delle nostre Forze dell’Ordine e delle Procure.

In via molto semplificata si può dire che l’illecito civile è perseguito dall’ordinamento per riparare il danno subito dai privati, mentre l’illecito penale è perseguito per riparare azioni dannose per tutta la  collettività:  ed infatti mentre l’illecito civile è quel fatto che ha per conseguenza le sanzioni civili (il risarcimento, le restituzioni, ecc.), l’illecito penale (il reato), essendo un  torto subito dall’ordine generale, è sanzionato mediante la pena (la multa, l’arresto ecc.).

Di regola l’inadempimento contrattuale non è un  reato ma un semplice illecito civile  fonte soltanto di responsabilità per le restituzioni ed il risarcimento del danno, da far valere innanzi al giudice civile.

Ci sono però delle eccezioni. Quando infatti il dolo iniziale ha influito sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti, quando cioè sapienti “artifici” e maliziosi “raggiri” dell’uno hanno convinto  l’altro alla stipulazione di un contratto che in altre circostanze non avrebbe firmato, allora è evidente che il fatto rivelerà tutta la sua natura ingannatoria  e solo allora si potrà parlare, oltre che di illecito civile, anche di illecito penale, cioè di reato.

Una recente sentenza della Cassazione (la n. 10482/12) ci fornisce un esempio di  truffa contrattuale che ha portato alla conseguente condanna dell’imputata. Nella fattispecie esaminata dalla Corte una donna aveva stipulato un contratto preliminare per la vendita di un terreno dichiarando di averne la piena disponibilità. In realtà, per il medesimo terreno,  aveva stipulato in precedenza un altro preliminare con il vero proprietario, preliminare che però  successivamente era stato dichiarato inefficace per mancato pagamento del prezzo da parte della medesima. Così l’imputata aveva incassato i soldi dal nuovo acquirente, senza restituirli, e senza trasferire il possesso del terreno. Secondo la Corte la condotta illecita della donna è consistita dunque nell’aver consapevolmente omesso di informare l’acquirente della mancata disponibilità del terreno da parte sua a causa dell’invalidità del precedente contratto, fatto grave che configura quegli “artifizi” e “raggiri”  sufficienti affinché ricorra il reato di truffa.

Riguardo alla truffa contrattuale bisogna anche considerare un aspetto importante: il contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell'altro,  non è radicalmente “nullo” (cioè come se non fosse mai stato concluso) ma  soltanto “annullabile” da un giudice, su istanza di chi ha interesse.

Pertanto, con riguardo ad esempio alla vendita, chi  riceve la cosa col consenso sia pur viziato, ne diviene effettivo proprietario, e acquisisce  il potere di trasferirne a sua volta la proprietà ad un  terzo,  con la conseguenza che quest'ultimo, ove abbia acquistato in buona fede ed a titolo oneroso, resterà al riparo degli effetti dell'azione di annullamento, e dunque manterrà la cosa per sé.

E’ bene dunque vigilare sempre attentamente quando si vogliono compiere atti di una certa importanza e ricorrere, quando è possibile, all’aiuto di un professionista esperto; anche perché, come si dice, il modo più sicuro di restare ingannati è credersi più furbi degli altri.

L’art 640 c.p.  (che qualifica e punisce il reato di truffa) afferma:Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51,00 a € 1.032,00.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309 a € 1.549:
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità ; 2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5). Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante
(61)”.

L’arresto è facoltativo in flagranza  ed il fermo di indiziato di delitto non è consentito. L’Autorità giudiziaria competente è il  Tribunale monocratico e si procede a querela di parte. Si procede d’ufficio se ricorrono le circostanze previste dal secondo comma dell'art. 640 c.p. o un'altra aggravante. Il diritto di querela per il delitto di truffa, ove la condotta tipica cagioni danno anche a terzi seppure nella forma della mancata acquisizione di un profitto, spetta anche a costoro (Cass. pen., sez. II, 6 luglio 2009, n. 27571).

Casistica:

Gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza. (Fattispecie di tentata truffa in cui il venditore di un immobile aveva taciuto il fatto che il mutuo per l'acquisto dello stesso era stato stipulato da soggetto coinvolto in reato di corruzione con il rischio di possibile confisca per equivalente dell'immobile stesso) (Cass. pen., sez. II, 30 ottobre 2009, n. 41717).

La stipula di un contratto preliminare di compravendita quale civile abitazione di parte di un immobile edificato in zona con destinazione alberghiera, operata dissimulando tale condizione amministrativa, integra il reato di truffa a carico del soggetto venditore (Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2007, n. 563).

In tema di truffa contrattuale, la condotta illecita è integrata dall'omissione del contraente alienante, che consapevolmente non renda edotta la controparte acquirente dell'esistenza di un precedente contratto di vendita dello stesso bene in favore di terzi, a nulla rilevando l'eventuale invalidità del precedente contratto (Cass. pen., sez. I, 12 giugno 2006, n. 19996).

Sussiste il reato di truffa «contrattuale» anche nell'ipotesi in cui venga pagato un giusto corrispettivo a fronte della prestazione truffaldinamente conseguita, posto che l'illecito si realizza per il solo fatto che la parte sia addivenuta alla stipulazione del contratto, che altrimenti non avrebbe stipulato, in ragione degli artifici e dei raggiri posti in essere dall'agente (Cass. pen., sez. II, 22 dicembre 2008, n. 47623).

In tema di truffa, quando il reato si realizzi con il conseguimento di titoli di credito, il danno si verifica non al momento dell'emissione dei titoli ma al momento e nel luogo in cui sono posti all'incasso o usati come mezzo di pagamento mediante girata, poiché si determina, attraverso la riscossione o l'utilizzazione, il vantaggio patrimoniale dell'agente e diviene attuale la potenziale lesione patrimoniale della vittima (Cass. pen., sez. II, 8 luglio 2008, n. 27950).

Integra il delitto di truffa la condotta di colui che abbia organizzato una manifestazione teatrale, in realtà non tenutasi, e provveduto alla vendita dei relativi biglietti facendo intendere agli acquirenti che l'incasso sarebbe stato devoluto ad una associazione assistenziale (Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2008, n. 40260).

È configurabile il reato di truffa qualora, nell’ambito di un’obbligazione già assunta e rimasta inadempiuta, il debitore consegua mediante inganno (nella specie costituito dalla esibizione di due polizze fideiussorie prive di valore) il differimento delle azioni recuperatorie o esecutive ai suoi danni, giacché tale indebito vantaggio costituisce un ingiusto profitto con correlativo danno per il creditore (Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2012, n. 5572).

In tema di truffa contrattuale, qualora l'agente sia l'acquirente che paghi con un assegno successivamente risultato non negoziabile e la parte lesa il venditore, il reato si consuma nel momento in cui quest'ultima consegna il bene all'agente e costui paga con l'assegno non negoziabile; in tal caso la competenza territoriale è del Tribunale nel cui circondario è avvenuta la consegna dell'assegno in pagamento mentre nessun rilievo svolge, a tal fine, la circostanza che la parte lesa venga a conoscenza di essere truffata in un momento ed in un luogo diverso da quello in cui ha ricevuto l'assegno (Cass. pen., sez. II, 25 ottobre 2010, n. 37855).

Il semplice pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura non è sufficiente a costituire, di regola, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un "quid pluris", da un malizioso comportamento dell'agente, da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull'apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni (Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2011, n. 46890).

Integra il delitto di truffa, e non quello meno grave dell'insolvenza fraudolenta, l'utilizzazione della carta di credito ben oltre i limiti di solvenza, nel caso in cui l'autore non si sia limitato alla dissimulazione dello stato di insolvenza ma si sia avvalso di un complesso di modalità frodatorie costituite da artifici e raggiri. (Fattispecie in cui l'autore del fatto prima si accreditò presso i funzionari dell'istituto bancario quale agente di commercio e versò, per superare la loro ritrosia al rilascio della carta di credito, una consistente somma di denaro, e poi, ottenuta la carta, si affrettò a ritirare quasi per intero la provvista e a utilizzare la carta di credito in modo massiccio e continuo sul circuito internazionale, nella consapevolezza che al tempo non era operativo il sistema di sicurezza dell'immediato blocco della carta su detto circuito, che si avvaleva di lettori manuali) (Cass. pen., sez. II, 2 maggio 2007, n. 16629).

Quanto alle conseguenze di un  contratto concluso per effetto di truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell'altro , ha specificato la Corte che questo non è radicalmente nullo (ex art. 1418 c.c., in correlazione all'art. 640 c.p.), ma  annullabile ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell'intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso. Pertanto, con riguardo alla vendita, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso sia pur viziato dell'avente diritto, ne diviene effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che, a sua volta, quest'ultimo ove acquisti in buona fede ed a titolo oneroso, resta al riparo degli effetti dell'azione di annullamento, da parte del "deceptus", ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 (in relazione agli artt. 2652, n. 6 e 2690 n. 3) c.c.. (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2011, n. 7468 Ric. Marini).

L’art. 641 c.p. punisce l’insolvenza fraudolenta: “Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza (2221, 2540 c.c.), contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla è punito, a querela della persona offesa (120; 336 c.p.p.), qualora la obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 516,00 (649).
L'adempimento della obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato
.”

L’arresto e il fermo di indiziato di delitto non sono consentiti, l’Autorità giudiziaria competente è il  Tribunale monocratico mentre la procedibilità è sempre a  querela di parte.

Il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente (Cass. pen., sez. II, 25 novembre 2009, n. 45096).

Casistica:

Integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l'obbligazione, con il preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre si configura solo un illecito civile nel mero inadempimento non preceduto da alcuna preordinazione. (La Corte ha specificato che la prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione, nell'ambito del quale anche il silenzio può acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia già maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti) (Cass. pen., sez. II, 13 ottobre 2009, n. 39890).

Non integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempie l'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita, la cui stipula può peraltro risultare sufficiente alla configurabilità del diverso reato di truffa ove sostenuta dal precostituito proposito di non adempiervi. (Cass. pen., sez. II, 16 aprile 2010, n. 14674).

Non integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che assume un'obbligazione con la riserva mentale di non adempiere per causa diversa dallo stato di insolvenza. (Nella specie l'imputato non pagava le cambiali, tranne la prima, asserendo che la scelta del mancato pagamento era collegata, come ripicca, ad un precedente acquisto di autovettura, che non andava bene su strada) (Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2011, n. 46903).

La dissimulazione dello stato di insolvenza, se tale presupposto si configuri in concreto, non può consistere in un comportamento meramente omissivo, necessitando - perché si configuri il delitto di cui all'articolo 641 c.p. - un comportamento positivo che, a differenza da quanto avviene nella truffa, non induca in errore la vittima sulla solvibilità, ma dissimuli l'insolvibilità, e, quindi, non induca in errore la parte lesa, lasciandola, invece, nell'ignoranza al riguardo. (Corte app. pen.Napoli, sez. II, 28 febbraio 2011, n. 951).

Il termine per la presentazione della querela per il reato di insolvenza fraudolenta decorre non già dalla data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione, ma da quella in cui il creditore acquisisce la certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, aveva dissimulato il proprio stato di insolvenza ed aveva contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla. (Nella fattispecie è stato ritenuto termine iniziale quello del tentativo di esecuzione forzata esperito dal creditore) (Cass. pen., sez. II, 23 ottobre 1997, n. 9552 ( 18 settembre 1997) Ric. P.G. in proc. De Pasquale. (cp, art. 124; cp, art).

 

 

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