Senza dubbio la possibilità di poter continuare ad abitare nella casa coniugale anche dopo la rottura del rapporto di coppia assume una grande importanza per ciascuno degli ex coniugi non solo da un punto di vista prettamente economico ma anche e soprattutto da un punto di vista affettivo e psicologico. Sicuramente poter continuare ad usufruire di quello che è stato l’immobile in cui ha vissuto la famiglia influisce notevolmente sotto il profilo della “qualità della vita”, e questo spiega i contrasti, spesso drammatici, tra gli ex coniugi, sulla casa coniugale. Per “casa coniugale” si intende l’immobile, comprensivo dei beni mobili presenti, finalizzato all’esistenza domestica della famiglia, il luogo cioè in cui viene stabilito l’habitat domestico, il centro di interessi in cui si esprime ed articola la vita familiare. Come ha affermato la Corte costituzionale nella nota sentenza n° 454/1989, il giudice della separazione non crea tanto un titolo di legittimazione ad abitare per uno dei coniugi quanto conserva la destinazione dell'immobile con il suo arredo nella funzione di residenza familiare: effetto precipuo del provvedimento di assegnazione è dunque quello di stabilizzare, a tutela della prole minorenne o anche di quella maggiorenne, ma non ancora autosufficiente senza propria colpa, la preesistente organizzazione che trova nella casa familiare il suo momento di aggregazione ed unificazione, escludendo uno dei coniugi da tale contesto e concentrando la detenzione in favore, oltre che della prole, dell’altro coniuge. Assegnazione della casa in presenza di matrimonio ed in presenza di figli Partiamo dal caso in cui si separino, o divorzino, due soggetti uniti dal vincolo matrimoniale, che abbiano uno o più figli. Il diritto all’assegnazione della (ex) casa coniugale spetta al genitore con cui convivono i figli minorenni o maggiorenni non autonomi conviventi e ciò indipendentemente dal fatto che sia o meno titolare di un diritto reale o personale di godimento sull’immobile. Lo scopo della norma suddetta è quella di assicurare una conveniente sistemazione per i figli incolpevoli del fallimento del matrimonio e di impedire che questi, oltre al trauma e ai disagi della separazione voluta dei genitori, debbano subire anche il trauma e i disagi dell’allontanamento dall’ambiente in cui hanno vissuto, in cui hanno i loro amici e i loro punti di riferimento. In materia di separazione e divorzio, il disposto dell'art. 155 quater Cod.civ, come introdotto dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54, facendo riferimento all'«interesse dei figli» conferma che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante, ne consegue che il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale.(Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2007, n. 16398; conforme: Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2007, n. 6979; Cass n. 18440/2013 ). In caso di divorzio, stante la vigenza dell’art. 6 della Legge n° 898/70, ci si chiede se possa presentarsi un contrasto e una diversa regolamentazione in materia rispetto ai casi di separazione.Recita infatti la norma suddetta, al comma 6°: “L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole”. L’inciso della legge divorzile riguardo alle condizioni economiche dei coniugi ha creato qualche problema interpretativo e ha portato qualche autore a ritenere che diversa potesse essere la regolamentazione della casa coniugale in caso di separazione ed in caso di divorzio o addirittura che la norma potesse essere stata abrogata dalla legge sull’affidamento condiviso. In realtà è stata la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha di fatto abrogato la parte dell’art. 6 della Legge n° 898/70 in cui sembra che l’assegnazione della casa coniugale possa essere disposta con funzione integrativa o sostitutiva dell’assegno divorzile, ovvero allo scopo di sopperire alle esigenze di sostentamento del coniuge ritenuto economicamente più debole.Nel 1995 Le Sezioni Unite hanno composto, con l'importante sentenza n° 11297, un contrasto di giurisprudenza manifestatosi anche in sede di legittimità affermando che “anche nel vigore della L. 6 marzo 1987 n. 74, il cui art. 11 ha sostituito l'art. 6 della L. 1 dicembre 1970 n. 898, la disposizione del comma 6 di quest'ultima norma, in tema di assegnazione della casa familiare, non attribuisce al giudice il potere di disporre l'assegnazione a favore del coniuge che non vanti alcun diritto - reale o personale - sull'immobile e che non sia affidatario della prole minorenne o convivente con figli maggiorenni non ancora provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri(Cass. civ., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297 in Arch. civ. 1996, 455) Il principio affermato dalle Sezioni Unite è stato poi in seguito recepito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha ribadito che “in materia di separazione o divorzio, l'assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898(come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente degli assegni rispettivamente previsti dall'art. 156 c.c. e dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente i predetti assegni. Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti: diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare” (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2006, n. 1545; conforme Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2007, n. 10994). Dunque criterio unico, sia in caso di separazione che in caso di divorzio per l’assegnazione della casa coniugale: in primis tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico e, in mancanza di prole, ritorno alle norme sulla proprietà o del possesso. Natura dell’assegnazione della casa coniugale Per quanto riguarda la natura dell’assegnazione della casa coniugale ha chiarito la Corte che “il diritto riconosciuto al coniuge, non titolare di un diritto di proprietà o di godimento, sulla casa coniugale, con il provvedimento giudiziale di assegnazione di detta casa in sede di separazione o divorzio, ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale” (Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4719). Da ciò derivano alcune conseguenze: innanzi tutto l’assegnazione non priva il proprietario del diritto dominicale, e quest’ultimo dovrà sopportare il pagamento delle spese straordinarie e dell’ICI; e le eventuali rate di mutuo preesistente sull’immobile continueranno ad essere di competenza del coniuge che si è accollato il mutuo, salvo diversi accordi tra i coniugi. L’assegnatario si accollerà invece gli oneri condominiali ordinari, e sosterrà le spese di manutenzione ordinaria nell’immobile. Mancata statuizione in ordine all’assegnazione della casa coniugale Va da sé, perciò, che qualora il Giudice nulla disponga in ordine all’assegnazione, in assenza di figli, l’utilizzo della casa coniugale spetterà automaticamente ed esclusivamente al coniuge esclusivo proprietario. Invece, in presenza di figli, qualora non venga formulata dal genitore domanda relativa all'affidamento del minore, al suo mantenimento e all'assegnazione dell'abitazione coniugale, il Giudice può disporla d'ufficio in considerazione del carattere indisponibile di tali diritti (così Corte d'Appello di Roma, 06.02.2004, n. 625). Presupposti per l’assegnazione della casa coniugale Chiaramente l’assegnazione della casa coniugale avrà un senso qualora i figli vivano effettivamente nell’immobile de quo e non si siano allontanati precedentemente da questo. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia - indipendentemente dalla possibilità di una ipotetica riunione degli stessi al genitore già affidatario - viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell'immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall'art. 1102 c.c” (Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2006, n. 3030). Recentemente la Cassazione ha stabilito che la presenza del figlio, soltanto saltuaria, per la necessità di assentarsi per motivi di studio e lavoro, anche per non brevi periodi, non può far venir meno di per sé il requisito dell'abitare, sussistendo pur sempre un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, ove il figlio ritorni ogni volta che gli impegni glielo consentano. Anche il trasferimento ad altro Comune, risultante dai registri anagrafici, non è indicativo, e potrebbe essere collegato ad una ricerca di lavoro, magari provvisoria. Sarebbe ipotizzabile una scissione tra domicilio, luogo in cui il soggetto ha stabilito (o conservato) la sede principale dei suoi affari ed interessi (personali e patrimoniali) e residenza, luogo di dimora abituale (provvisoriamente differente), come indicato dall'articolo 43 c.c.. (Cass. Sez. 1^ Civile, 22 marzo 2010, n. 6861). Inoltre, sia in caso di separazione che di divorzio, l'assegnazione della casa coniugale postula che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi, a prescindere dal titolo di proprietà dell'abitazione; ne consegue che deve escludersi il diritto all'assegnazione al coniuge convivente con un figlio minore che non sia figlio anche dell'altro coniuge (così Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2007, n. 20688 in Arch. loc. e cond. 2008, 261). Oneri connessi all’assegnazione della casa coniugale In caso di assegnazione è chiaro che nessun onere spetterà in capo all’assegnatario riguardo all’immobile. Deve infatti escludersi qualsiasi obbligo di pagamento di un canone di locazione da parte dell'assegnatario per il godimento della stessa, poiché qualunque forma di corrispettivo snaturerebbe la funzione dell'istituto di cui si tratta, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed inciderebbe direttamente sull'assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio(Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 2006, n. 4188). Individuazione della casa coniugale La giurisprudenza di merito ha spesso usato una interpretazione restrittiva riguardo al concetto di “casa coniugale” considerando tale, in presenza di più porzioni immobiliari, anche vicine, solo quella in cui effettivamente la famiglia ha posto il proprio habitat. Il Giudice dovrà valutare in concreto quali beni e/o porzioni immobiliari risultino occorrenti ai bisogni delle persone della famiglia. Egli, dunque, da un lato dovrà accertare i luoghi in cui si è espressa ed articolata la vita familiare, con esclusione di ogni altro immobile di cui i coniugi dovessero avere comunque la disponibilità, dall'altro dovrà tenere conto delle necessità di vita dell'altro coniuge e delle possibilità di godimento separato ed autonomo delle varie porzioni immobiliari. Assegnazione della casa coniugale in presenza di figli maggiorenni Riguardo alla presenza nella casa coniugale di figli maggiorenni, per evitare l’esistenza di un vincolo sull’immobile a tempo indeterminato, ha chiarito la Corte che “al fine dell'assegnazione ad uno dei coniugi separati o divorziati della casa familiare, nella quale questi abiti con un figlio maggiorenne, occorre che si tratti della stessa abitazione in cui si svolgeva la vita della famiglia allorché essa era unita, ed inoltre che il figlio convivente versi, senza colpa, in condizione di non autosufficienza economica” (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1198). Accordi tre le parti in ordine all’assegnazione della casa coniugale E’ possibile per le parti modificare il provvedimento di assegnazione della casa coniugale? Bisogna distinguere tra varie ipotesi. Le pattuizioni intervenute tra i coniugi nel lasso di tempo tra l’udienza presidenziale ed il decreto di omologazione sono operanti. L'accordo alla separazione consensuale raggiunto dai coniugi nell'udienza presidenziale, infatti, non ha natura tipicamente contrattuale in quanto regolamenta sia diritti sottratti alla libera disponibilità delle parti, sia diritti disponibili ma afferenti questioni connesse al regime della separazione e, pertanto, può essere unilateralmente revocato prima del provvedimento di omologazione, poiché solo a seguito di tale pronuncia acquista validità ed efficacia giuridica (in tal senso Corte App. civ. Brescia, sez. I decr., 18 maggio 2000, n. 2834). Le pattuizioni intervenute tra i coniugi anteriormente o contemporaneamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, e non trasfuse nell'accordo omologato, sono invece operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest'ultimo, in posizione di «non interferenza» - perché riguardano un aspetto che non è disciplinato nell'accordo formale e che è sicuramente compatibile con esso, in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, ovvero perché hanno un carattere meramente specificativo - oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'art. 158 c.c. (così Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005, n. 20290; conformi Cass. civ., sez. I, 9 aprile 2008, n. 9174; Trib. civ. Lecce, 15 aprile 2003, n. 1128 in Arch. loc. e cond. 2003, 521; Cass. 22 gennaio 1994, n. 657, in Foro it. 1995, I, 2984; Cass. 24 febbraio 1993, n. 2270, inGiust. civ. 1994, I, 213). Le pattuizioni intervenute tra i coniugi successivamente al decreto di omologazione della separazione consensuale, infine, trovano fondamento nell'art. 1322 c.c. e devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dall'art. 710 c.p.c., quando non varchino però il limite di derogabilità consentito dall'art. 160 c.c., (Cass. civ., sez. I, 22 gennaio 1994, n. 657 in Arch. civ. 1994, 392; Cass. 15 marzo 1991, n. 2788, in Mass. Giust. civ. 1991, 365; Cass. 1 giugno 1988, n. 3714; Cass. 5 luglio 1984, n. 3940, in Dir. famiglia 1984, I, 922 ). Le pattuizioni riguardanti un diverso assetto dell’assegnazione della casa coniugale devono perciò ritenersi valide perché non ricomprese tra le pattuizioni inderogabili dell’art. 160 Cod. Civ. che richiama a sua volta gli articoli 143 e ss. Cod. Civ. Assegnazione della casa coniugale in locazione In questo caso quando in sede di separazione personale la casa familiare viene assegnata al coniuge non titolare del rapporto di locazione, la cessione del contratto a favore del coniuge assegnatario (che deriva ai sensi dell'art. 6 L. n. 392/78) opera ex lege e determina l'estinzione del rapporto di locazione in capo al coniuge originario conduttore, senza alcuna possibilità di una sua reviviscenza neppure nel caso di abbandono dell'immobile da parte del nuovo conduttore (Trib. civ. Salerno, sez. I, 8 giugno 2007 ). E ciò indipendentemente dalla comunicazione o comunque dalla conoscenza che di tale situazione abbia il locatore, e quindi nonostante ogni opposizione che il locatore stesso voglia frapporre (Trib. civ. Nocera Inferiore, sez. II, 18 novembre 2004, n. 1250). Chiaramente ha stabilito la Cassazione che l'art. 6 della legge n. 392 del 1978, che prevede il sub ingresso legale del coniuge separato o divorziato nella posizione di conduttore della casa familiare, allorché il relativo diritto gli sia stato attribuito dal giudice, non può trovare applicazione ove l'immobile oggetto del contratto di locazione stipulato da uno dei coniugi, e ceduto, dopo la separazione, all'altro, non sia stato adibito ad abitazione familiare (Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2000, n. 4502). Assegnazione della casa coniugale in comodato Le Sezioni Unite hanno distinto tra due forme di comodato, quello propriamente detto, e quello c.d. precario, cioè senza determinazione di durata (Cass. S.U. n. 20448/2014). Com’è noto è consentito richiedere ad nutum il rilascio al comodatario solo nel caso di “comodato precario”, stante la mancata pattuizione di un termine e l'impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa. Invece per il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale, il comodante potrà esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno, altrimenti dovrà rispettare il termine. Secondo la Cassazione va ricondotto a quest’ultimo tipo contrattuale il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario: si tratta di contratto sorto per uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, ossia individuabile in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale (Cass. n. 1666/2016). Dunque resterà al coniuge assegnatario la casa di proprietà di terzi (ad esempio i genitori dell’altro coniuge) tutte le volte in cui la casa stessa abbia avuto come destinazione quella di casa coniugale. Decadenza dall’assegnazione della casa coniugale Secondo l’art. 155 quater Cod. Civ. “Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”. L’articolo non sembra lasciar adito a dubbi: in caso di allontanamento dell’assegnatario dalla casa assegnata, in caso di convivenza more uxorio o in caso di nuovo matrimonio viene meno il diritto al godimento di quella che è stata la casa coniugale. Il principio è stato però mitigato dalla giurisprudenza e la cessazione dell’assegnazione è sempre subordinata ad una valutazione del giudice, pur nel silenzio della legge, e la norma deve essere interpretata nel senso che il diritto non viene meno al verificarsi degli eventi descritti, ma che la cessazione sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore da parte del giudice. Trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale e opponibilità ai terzi L’art.6 comma 6 della legge 898/1970 (legge sul divorzio), così come modificato dalla legge 74/1987, statuisce che “l’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.” La Cassazione ha affermato che: “Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma quarto, c.c., in tema di separazione personale, e 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), in tema di divorzio, il relativo provvedimento - in quanto avente per definizione data certa, sia esso la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, sia il provvedimento provvisorio pronunziato dal Presidente del tribunale ai sensi degli artt. 708 c.p.c. e 4, ottavo comma, della legge n. 898 del 1970 e successive modifiche - è opponibile al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento medesimo, nel termine di nove anni, ed anche oltre se il provvedimento sia stato trascritto” (Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2006, n. 4719; conforme Cass. civ., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096). La Cassazione ha in pratica applicato alla materia dell’assegnazione della casa coniugale l’art. 2643 n° 8 Cod. Civ. dettata per i contratti di locazione. Attualmente l’art. 155 quater introdotto al Codice Civile dalla L. n. 54/06 prevede che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 cod..civ.”; e come sappiamo questa disposizione si applica anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati grazie al comma 2 dell’art. 4 della legge 2006/54.Occorre però precisare che secondo la Cassazione “atto trascrivibile”sarebbe non il ricorso per separazione, ma soltanto il provvedimento di assegnazione della casa familiare (Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13137). Il principio è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale che in relazione ad un dubbio di costituzionalità in materia sollevato dal Tribunale di Alessandria con decisione 24/02/2006 n. 448, che aveva osservato che nelle more tra la notifica del ricorso e l’udienza presidenziale, il titolare della casa coniugale avrebbe potuto liberamente disporne, ha negato l’ammissibilità al ricorso medesimo, seppur per ragioni procedurali, non avendo dedotto il giudice a quo se nel caso di specie la casa coniugale fosse stata o meno assegnata (Corte Cost. dec. 27 aprile 2007 n. 142). Per superare l’impasse qualche autore ha ipotizzato che si possa trascrivere il ricorso in base all’art. 2652 n° 2 Cod. Civ., che consente la trascrizione delle domande dirette a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre, ovvero, secondo altri, si potrebbe superare l’ostacolo riportandone il contenuto davanti ad un notaio che potrebbe così trascriverlo ai sensi dell’art. 2657 (“La trascrizione non si può eseguire (2674) se non in forza di sentenza (2908; 131 ss. c.p.c.), di atto pubblico (2699) o di scrittura privata (2703) con sottoscrizione autenticata (2703) o accertata giudizialmente “). Dunque il provvedimento di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi all'esito del procedimento di separazione personale come abbiamo visto non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell'assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, opponibile, se avente data certa (e nel nostro caso la data è certa), ai terzi entro il novennio ai sensi dell'art. 1599 c.c. (“Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione”). ovvero anche dopo i nove anni se il titolo sia stato in precedenza trascritto. La Suprema Corte, con la sentenza n. 12995/13 del 24.05.2013, ha stabilito che se il marito, in pendenza di giudizio di separazione, vende la ex casa coniugale al solo fine di non doverla poi cedere alla moglie, può vedere revocata la vendita. Condizioni per l’inefficacia della vendita sono: 1°) la consapevolezza del marito di arrecare un pregiudizio alla moglie; 2°) la consapevolezza dell’acquirente, a sua volta, del pregiudizio che l’atto sta arrecando alla predetta. Naturalmente se il prezzo di vendita è talmente basso da essere “fuori mercato”, e nell’immobile continuano ad abitare la moglie e i figli, di sicuro l’acquirente non potrà non essere a conoscenza del fatto che la vendita è solo fraudolentemente preordinata a sottrarre la casa alla moglie. Assegnazione della casa in presenza di matrimonio ma in assenza di figli. Nonostante il riflesso economico dell’assegnazione della casa familiare, essa non può essere disposta a titolo di componente degli assegni previsto dall’art.156 c.c e dalla legge n.898 del 1970 allo scopo di sopperire alle esigenze del coniuge più debole, al soddisfacimento dei quali sono destinati unicamente gli assegni. Argomentando in modo diverso si urterebbe contro i principi costituzionali in quanto il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario. I suddetti principi, come detto, sono stati ribaditi a maggior ragione dopo la riforma introdotta dalla legge n.54/06 (Cass. 24.7.2007, n.16398; Cass. 22.3.2007, n 6979; Cass. 18.2.2008, n.3934; Cass. 23.11.2007, n.10994 ). In assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, l'assegnazione non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l'eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, se i figli sono affidati all'altro coniuge (Cass. civ. n. 23591 del 22/11/2010). L'assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, ma postula l'affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti” (Cass. civ., Sez. I, 1/08/2013, n. 18840; Cass. n. 19193 del 28.09.2015). Sequestro della casa coniugale Per assicurare che il coniuge obbligato a pagare l’assegno di mantenimento, adempia a tale obbligo, è possibile, per l’altro, ottenere dal giudice il sequestro dei beni dell’ex coniuge, sugli immobili di sua proprietà, fra cui la casa familiare (così Tribunale di Perugia, ord. del 27/07/2016). Beni esclusi dall’assegnazione L’assegnazione non comprende le seconde case (la casa al mare o in montagna) e gli effetti personali e i beni necessari per la professione o per altri bisogni particolari del coniuge. L’accordo dei coniugi è però sovrano, in questo caso, ben potendo gli stessi prevedere concordemente come dividersi determinati beni. Al contrario, l’assegnatario della casa coniugale ha diritto ad esempio al box se dimostra la natura pertinenziale del medesimo (Cass. n. 32562 del 01.09.2010). |
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