L’art. 609 bis Cod. pen. dispone: “1. Chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni . 2. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. 3. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”
Il Legislatore ha unificato la congiunzione carnale violenta e gli atti di libidine, previsti dalla normativa previgente, nella nozione unitaria di “atti sessuali”.
E’ atto sessuale "qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo, sia idoneo e finalizzato a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale".
L'aggettivo “sessuale” attiene al sesso dal punto di vista anatomico, fisiologico o funzionale, ma non è limitato ai genitali, bensì a tutte le altre zone ritenute erogene dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica (Cass. Pen. sez. 3^ n. 25112/2007; Cass. n. 7772/2000).
Quanto agli elementi costitutivi del reato di violenza sessuale, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo il quale affinché si possa considerare integrato il reato di cui all’articolo 609-bis del Codice Penale non si richiede da parte dell’agente un’azione violenta, né un effettivo dissenso da parte della persona offesa, ma la semplice mancanza di consenso all’approccio sessuale da parte di quest’ultima. (Cass. Sezione 3^ Penale, 22 novembre 2016, n. 49597)
Come si vede rilevante, per la Cassazione, è la violazione della sfera di libera autodeterminazione che l’ordinamento assicura all’individuo nell’ambito della propria intimità sessuale, al di fuori anche di condotte violente da parte dell’agente.
Infatti, diversamente argomentando, facendo cioè ricadere il reato solo ai casi di uso di violenza, non commetterebbe il reato di violenza sessuale chi approfittasse sessualmente di un soggetto dormiente ovvero, comunque, in stato di incapacità, anche transitoria, ad esprimere il proprio dissenso alla disposizione del bene – interesse tutelato dalla norma.
Pertanto, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in questione, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo del reato al compimento degli atti sessuali a suo carico, essendo irrilevante, pertanto, l’errore sull'esistenza o meno della espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato.
Tra gli atti idonei ad integrare il delitto di cui all'art. 609 bis c.p., vanno ricompresi anche quelli insidiosi e rapidi, purché ovviamente riguardino zone erogene su persona non consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci) (Cass. Pen. Sez. 3^ n. 549/2005).
Così tra gli atti suscettibili di integrare il reato di violenza sessuale va ricompreso anche il semplice sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio (Cass. Sez. 3^ 1/12/2001, Gerardi; Cass. Sez. 3^ n. 66551/98; Cass. n. 20712/18), il palpeggiamento del seno (Cass.Sez. 3^ n. 49459/12), il palpeggiamento del sedere (Cass. n. 5515/2016), l’atto di infilare la mano nella maglietta in contrasto con la volontà del soggetto passivo (Cass., Sez. III, 4538/2007) ed il “succhiotto” sul collo imposto con la precisa intenzione di apporre un “marchio” visibile a chiunque fosse interessato ad una relazione con la vittima (Cass. n. 47265/2016) .
Si ha violenza sessuale, ma solo tentata, qualora si tenti un approccio sessuale che non riesca a causa di fattori esterni. E’ il caso dell’agente che immobilizza la vittima tentandola di baciare, e non riuscendo nel suo intento per l'intervento di parenti della predetta (Cass. Sez. Un. n. 16207/13; Cass. Sez. 3^ Penale n. 43802/2017; 43553/2018).
Il tentativo del reato previsto dall'art. 609 bis c.p. è dunque configurabile in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l'agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime (così Cass. n. 17414/2016).
La violenza sessuale è stata anche ritenuta tentata allorquando l'atto del soggetto agente, sebbene indirizzato verso una zona erogena della persona offesa, per la pronta reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente, raggiunga invece una zona non erogena (Cass. Sez. 3 ^, n. 27469/2008).
Per quanto riguarda la violenza sessuale di gruppo non è necessaria l'effettiva partecipazione all’abuso: è sufficiente “trovarsi sul posto e agevolare la condotta del "branco", ad esempio partecipando all'adescamento o allo stordimento della vittima (Cass. 3^ Sezione n. 38933/2017).
Per i Giudici della Corte, dunque, la violenza sessuale di gruppo, autonoma e a carattere necessariamente plurisoggetivo, richiede per la sua integrazione, oltre all'accordo delle volontà dei compartecipi, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito, in un rapporto causale inequivocabile, non essendo necessario che ciascuno di essi ponga in essere un'attività tipica di violenza sessuale, né che realizzi l'intera fattispecie nel concorso contestuale dell'altro o degli altri correi.
Infine si è stabilito che le dichiarazioni della vittima di violenza sessuale, anche da sole, possono assumere valore di prova sufficiente a fondare la responsabilità dell'imputato, previa verifica rigorosa circa l'attendibilità della persona offesa (Cass. n.40610/13).