L’art. 610 c.p. (Violenza Privata) dispone: “Chiunque, con violenza o minaccia , costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339”
La norma tutela la libertà morale dell’individuo, ovvero la sua facoltà di autodeterminarsi spontaneamente.
Viene pertanto protetta la “libertà psichica” della persona da qualsiasi comportamento violento e intimidatorio in grado di esercitare una coartazione, sia diretta che indiretta, per costringerla a fare, a non fare o a tollerare una certa azione.
Ricorre la violenza privata di cui all’art. 610 c.p. quando nella condotta violenta dell’agente non si configuri, per quel determinato fatto, una diversa fattispecie di reato; è dunque una situazione residuale, in quanto vi rientrano tutte le condotte che non integrano altre fattispecie penali.
Tra i coniugi durante il rapporto, oppure in concomitanza con casi di separazione o di affidamento dei figli, vengono talvolta commessi atti ai limiti del codice penale.
La Corte di Cassazione, con le sue decisioni, ha spesso tracciato il limite tra ciò che si può e ciò che non si può fare.
Normalmente le condotte che separatamente integrerebbero il reato di violenza privata, qualora reiterate nel tempo, vengono assorbite nel più grave reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 372 c.p..
Condotta del reato di violenza privata può consistere nella violenza o nella minaccia dirette a ridurre o ad annullare la capacità di determinarsi liberamente da parte del soggetto passivo.
La violenza o la minaccia possono essere esercitate sul soggetto passivo oppure su una terza persona (ad esempio un figlio o un ascendente), o infine sulle cose, ma l’importante è che si raggiunga comunque lo scopo di costringerlo a qualche azione che altrimenti non avrebbe compiuto.
Si avrà tentativo di violenza privata quando non si raggiunge l'effetto voluto, per fatto indipendente dalla volontà del colpevole.
I casi di violenza privata possono essere di vari tipi.
Ultimamente la Corte ha evidenziato alcune fattispecie concrete di reato:
1) il coniuge che caccia via di casa l’altro quando la convivenza diventa insopportabile (Cass. n. 40383/ 2012).
2) il marito che, per gelosia, brandendo le forbici, impone alla moglie di subire il taglio dei capelli, contro la sua volontà (Cass. 10413/2013).
3) il marito che, afferrando per il polso la moglie, la conduce in un ambiente appartato costringendola a rimanere lì per discutere con lui (Cass. 42722/2017)
Va invece condannato per violenza sessuale il marito che obbliga la moglie ad avere rapporti sessuali e questa rifiuta anche solo implicitamente (Cass. n. 39865/15).
La Cassazione esclude infatti che sussista “un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all'istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più se tali rapporti avvengano in un contesto di sopraffazioni, infedeltà ecc.”,
Va infine anche condannato per violenza sessuale il marito che costringe la moglie ad avere rapporti non protetti con lui nonostante sia affetto da HIV (Cass. 52051/2017 )
Attualmente, dunque, se la violenza o la minaccia è rivolta, anche solo oggettivamente, a far subire alla vittima atti sessuali, si integrano sempre gli estremi del reato ex art. 609 bis c.p. (violenza sessuale) e non quello dell'art. 610 c.p. (violenza privata).