L’articolo 615 bis Cod. Pen. (Interferenze illecite nella vita privata) dispone che:
“1. Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
2. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
3. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d'ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio , con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.
Riprendere una persona con una telecamera o anche con un telefonino, e magari postare il filmato sui social network, in generale, può essere molto rischioso.
In caso di commissione del reato menzionato, l’arresto in flagranza è facoltativo ed il fermo non è consentito.
Il reato, come si vede, è procedibile a volte a querela di parte (primo e secondo comma) e a volte d'ufficio (terzo comma).
In via generale, è bene considerare quanto segue.
Il filmato di persone in luoghi privati senza il loro consenso.
Se la ripresa viene effettuata all’interno dei luoghi privati indicati dall’art. 614 Cod. Pen., nei confronti di persone che non hanno prestato il proprio consenso a tali riprese, si perfeziona il reato di illecita interferenza nell’altrui vita privata.
Per “privata dimora” si intende non solo l'abitazione altrui e le sue pertinenze, ma anche i luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale della persona, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Cass. Sez. Unite n. 31345/2017).
Il divieto riguarda dunque solo ciò che è nascosto alla vista di chi effettua la ripresa.
Il filmato di persone in luoghi pubblici senza il loro consenso.
Il filmato di una persona effettuato invece su una pubblica via, su un mezzo pubblico, o in un altro posto aperto al pubblico, non viola la privacy della persona e, in generale, è consentita.
Occorre fare però un’ulteriore distinzione.
Se il filmato riguarda persone non famose, riprese accidentalmente in luogo pubblico (una strada, una festa pubblica, un concerto ecc.), non essendo le stesse l’oggetto della ripresa, la pubblicazione è possibile anche senza autorizzazione, e pure se le persone sono riconoscibili.
Se invece la ripresa riguarda proprio quella persona, che in quel dato momento si trova in un luogo pubblico, allora occorre il suo consenso.
Non possono mai essere pubblicate immagini di minori, salva l’autorizzazione dei genitori e salvo che il viso sia oscurato e non riconoscibile.
Se il filmato riguarda persone famose non è necessario chiedere il loro consenso, a meno che la diffusione del filmato sia lesivo per la loro reputazione o venga utilizzato per scopi pubblicitari.
Anche per queste ultime, naturalmente, rimane comunque fermo il divieto di invaderne la privacy nei luoghi di “privata dimora”.
Due casi particolari.
Due recenti sentenze della Corte di Cassazione ci aiutano a comprendere, quanto alle riprese visive, ciò che è lecito o non lecito fare all’interno delle proprie mura domestiche.
-Sentenza del 13 giugno 2018, n. 27160.
La Corte, con questa sentenza, ha escluso l'interferenza illecita nella vita privata di una donna, ex art. 615 bis cod. pen., da parte dell’ex fidanzato che, all'interno del proprio domicilio, aveva eseguito la registrazione video di un rapporto sessuale con la predetta, senza il suo consenso.
Ha statuito nel caso di specie la Corte, anche riferendosi a precedente giurisprudenza (Cass. n. 1766/2007; Cass. n. 22221/17) che “non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata la condotta di colui che mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva provveda a filmare in casa propria rapporti intimi intrattenuti con la convivente, in quanto l'interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto articolo è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che, invece, sia ammesso a farne parte, sia pure estemporaneamente, mentre è irrilevante l'oggetto della ripresa, considerato che il concetto di vita privata si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato”.
Per quanto discutibile, l’orientamento della Suprema Corte è dunque quello di riconoscere punibili, in casi del genere, nel domicilio o nelle sue appartenenze, soltanto le riprese visive (o sonore) effettuate da un terzo, cioè da chi nella vita privata del soggetto non sia lecitamente ammesso.
Per la Corte, infatti, anche in assenza del consenso, non può commettere il reato indicato chi si trovi lecitamente nell’abitazione all’interno della quale effettui una registrazione (di qualsivoglia azione si stia compiendo), perché lo stesso è divenuto parte di quella “vita privata”.
E né serve a configurare il reato il fatto che l’agente abbia agito proprio con l’intenzione di effettuare le riprese non autorizzate, perché mancherebbe la volontà dell’avente diritto di escluderlo dalla propria sfera di riservatezza e tale intenzione rimarrebbe in ogni caso relegata soltanto nell’ambito dei moventi della condotta.
Naturalmente l’illecita diffusione del filmato (ad es. sui social) sarebbe in ogni caso punita ai sensi del 2° comma dell’art. 615 bis Cod. Pen.
Sentenza del 27.07.2018 n. 36109/18.
La Corte, con questa sentenza, ha in sostanza ribadito l’orientamento già espresso con la suddetta sentenza n. 27160, anche se il caso al suo esame era diverso.
Qui si trattava infatti di stabilire se fosse o meno da condannare, ex art. 615 bis Cod. Pen., un uomo che aveva filmato in casa propria, con mezzi di captazione visiva, la moglie nuda ed intenta alla cura della propria persona.
Qui l’agente, a differenza del caso precedente, non era “attore” della scena oggetto di registrazione, non essendo presente al momento della registrazione stessa, effettuata con una telecamera precedentemente installata.
Ebbene, in questo caso, la Suprema Corte ha ravvisato il reato indicato a carico dell’uomo, perché non è lecito predisporre strumenti di ripresa visiva (o sonora) per carpire immagini o notizie attinenti alla vita privata degli altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi od ospiti occasionali, perché in tal modo, l’agente, non condivide con i medesimi soggetti l’atto della vita privata.
Nel caso di specie l’uomo è stato quindi condannato in quanto la moglie non voleva condividere con lui i suoi momenti di intimità; il predetto, benché coniuge, e benché in generale coinvolto nella vita privata della moglie stessa, era in quel caso estraneo alla visione di quelle determinate attività indebitamente captate e filmate, ed oggetto di protezione in quanto private.
Come chiarisce la stessa Corte, in conclusione, il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe.